Le questioni legate al randagismo canino sono, purtroppo, di costante attualità nel nostro Paese e, seppure con evidenti differenze tra le varie realtà regionali, non si può ancora affermare che il problema sia risolto. Ovvero, il randagismo non è stato sensibilmente ridotto fino a poter parlare, come per una zoonosi, della sua eradicazione. A mantenere alta l’attenzione sul fenomeno vi sono non solo gli episodi di malaffare che gravitano sulla detenzione dei cani nei canili e sulle sue modalità spesso oggetto di denunce, inchieste quando non indagini e investigazioni per presunti risvolti penali che riempiono pagine di giornali. Ma vi sono anche, nell’imminenza delle ferie estive, le previsioni di abbandoni di animali domestici che campagne anche istituzionali con manifesti e spot pubblicitari tentano di frenare. In questo modo si cerca di invertire, e quindi annullare, una tendenza di comportamento nei confronti dei cani che, nonostante tutto, sembra mantenere uno zoccolo duro di atteggiamento irresponsabile che non si riesce a scalfire più di tanto. A tuttoggi bisogna anche ammettere che la Legge n. 281 dal 1991, fortemente innovativa (a suo tempo alcuni l’avevano definita rivoluzionaria), avrebbe dovuto con i suoi tre pilastri (anagrafe canina, sterilizzazione dei cani randagi e no-kill) debellare il randagismo e determinare così un rinnovato rapporto uomo-cane. Come già sostenuto in altre occasioni, quella Legge aveva un elemento che, ritenuto positivo (Legge quadro), si è rivelato a breve estremamente negativo, e cioè la necessità di prevedere Leggi di livello regionale di recepimento della 281 nazionale. Le Regioni (alcune peraltro avevano già legiferato sulla questione) hanno proceduto con tempi assai diversi, introducendo in alcuni casi elementi (uno per tutti il cosiddetto “cane di quartiere” peraltro in contrasto col Regolamento di Polizia veterinaria) che non erano previsti nelle disposizioni nazionali. Si andava così creando un quadro caratterizzato da ritardi e dissonanze normative che hanno pesantemente contribuito al mancato raggiungimento su tutto il territorio nazionale di quanto auspicato dai suoi propugnatori. Peraltro, una volta che tutte le Regioni avevano emanato la loro Legge di recepimento, queste hanno spesso emanato, nel corso degli anni, revisioni legislative con l’intento di sconfiggere in modo definitivo il randagismo. Questo anche sotto la costante pressione di un mondo di associazioni animaliste sempre sul piede di guerra nel denunciare inefficienze e ritardi, sino a rivendicare nuove Leggi sempre più animaliste che, abrogando la precedente, avrebbero finalmente risolto il problema in via definitiva. Le cronache hanno ad esempio riportato in Puglia la richiesta delle associazioni di abrogare l’ultima Legge in vigore per vararne una nuova che dia un definitivo impulso alle sterilizzazioni, viste sempre come la panacea del problema randagismo. Quanto la situazione sia ancora grave, specie in alcune Regioni nonostante gli sforzi perseguiti con scarse e sempre più ridotte risorse, è testimoniato dall’esempio della Regione Basilicata. Emanando un’ennesima Legge regionale, la n. 46/2018, la Regione ha previsto nuovamente la soppressione dei cani senza proprietario, ignorando i dettami della 281 (no-kill) e ciò ha provocato un intervento dell’Avvocatura dello Stato che ne ha paventato una violazione della legittimità costituzionale1 . Prendendo spunto da quest’ultima vicenda, ci permettiamo di sottolineare nuovamente un aspetto che, pur risultando davvero innovativo, non è stato mai seriamente preso in considerazione, sebbene formalmente ripreso da alcune Leggi regionali. Ci riferiamo all’esplicita previsione della Legge 281 nell’articolo 2, comma 1, secondo cui “il controllo della popolazioni dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite viene effettuato, tenuto conto del progresso scientifico, presso i Servizi veterinari delle unità sanitarie locali”. Questa previsione davvero lungimirante intendeva dire che il contenimento demografico dei cani (ahimé cosa c’entravano i gatti col randagismo ancora ce lo chiediamo senza avere valide risposte) poteva/doveva essere operato non solo ed esclusivamente con la sterilizzazione chirurgica, ma anche con strumenti farmacologici che la ricerca scientifica poteva mettere man mano a disposizione degli operatori sanitari. Interventi farmacologici che si andavano affinando, riducendo o evitando quegli effetti collaterali che facevano propendere, agli albori della 281, per la chirurgia ma che, col tempo, potevano perlomeno affiancarla, riducendo i rischi connessi alla chirurgia. L’impiego di farmaci andrebbe anche incontro al criterio di appropriatezza che dovrebbe informare costantemente l’operato del Servizio sanitario nazionale. A riprova di questa “ritrosia”, ricordiamo un particolare che pare sfuggito ai più: con la Legge Finanziaria del 2006 fu introdotta una modifica dell’articolo 4 della 281 prevedendo che “i Comuni, singoli od associati, e le comunità montane provvedono prioritariamente ad attuare piani di controllo delle nascite incruenti attraverso le sterilizzazioni”. La Simevep, che in più occasioni ha rappresentato tale modalità da affiancare/sostituire alla chirurgia, aveva intravisto una nuova attenzione al problema stimolato anche dai nostri interventi in tal senso. Soddisfazione durata il tempo di un anno, senza dare la possibilità di attuare nulla visto che la Finanziaria successiva stabilì che “all’art. 4 della Legge 14 agosto 1991, n. 281, e successive modificazioni, al comma 1, primo periodo la parola «incruenti» è soppressa”. Cui prodest?